La “Zampina di Sammichele di Bari” è un insaccato fresco ottenuto da carne bovina e ovina, finemente macinata e amalgamata, con l‘aggiunta di formaggio stagionato grattugiato, filetto di pomodoro pelato, pepe, sale e basilico. L’impasto viene insaccato in un budello naturale di bovino che viene arrotolato 3/4 volte su sé stesso a formare una spirale, tenuta insieme da uno spiedo in metallo o di legno.
Le sue origini affondano le radici in quella che fu la Civiltà Contadina e ci parlano di un prodotto ideato per recuperare, nell’immediato, le frattaglie della macellazione bovina e ovina.
Lo spreco, infatti, non era qualcosa di concepibile e, vista l’assenza di adeguati metodi di conservazione, ci si ingegnava per riutilizzare il più possibile, anche con un pizzico di fantasia.
Con il passare del tempo, è stato privilegiato l’impiego di tagli di carne più pregiati per ottenere tenerezza e particolari sapori nel prodotto cotto.
Le peculiari caratteristiche organolettiche e nutrizionali hanno contribuito a rendere la “Zampina di Sammichele di Bari” uno dei più famosi e pregiati prodotti della gastronomia pugliese tanto che, già a partire dagli anni ’60, ogni macelleria di Sammichele si è organizzata per allestire una saletta attigua al locale di vendita per somministrarla cotta sulla brace, accompagnata da un buon vino rosso.
Il gastronomo Luigi Veronelli, in un articolo pubblicato sulla rivista “Panorama” nel settembre 1974, definì la Zampina di Sammichele di Bari “cibo omerico”, ossia piatto povero ma appagante per i sensi, realizzato all’epoca con ritagli di carne di pecora a fine carriera e di scarso valore che, tritati, insaccati e arrotolati su sé stessi davano l’idea, almeno nella forma, di una bistecca.
Sull’etimologia del termine zampina non è mai stato possibile dare un significato univoco, ma si possono fare solo supposizioni.
Zampina potrebbe derivare dal latino sanguineus, vale a dire color del sangue, color del corniolo. Come curiosità possiamo ricordare che esiste un insaccato sardo chiamato sambingiu e che in Sardegna e in Toscana con il termine “zampina” viene identificata un’uva selvatica violacea e simile al lambrusco, uva che in Corsica è chiamata “zampinaco”.
Ad associare il nome “zampina” a questo insaccato potrebbero quindi essere stati i profughi provenienti dalla Corsica che durante la rivoluzione del 1799 si stabilirono nell’entroterra barese per cercare di riportare i Borbone sul trono di Napoli.
Un’altra ipotesi prende in considerazione la presenza, in questo territorio, di una comunità di profughi serbi, fatti giungere nel 1615 dal nobile mercante portoghese Miguel Vaaz per popolare un primo nucleo di abitazioni di quella che sarà l'odierna Sammichele e che potrebbero aver importato una primitiva versione di questo particolare insaccato.
Zampina è, infine, un termine arcaico che identifica il sostegno scalettato dello spiedo.
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